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Cronaca

"Puro Sangue Ciarelli", parla il pentito: l'alleanza per eliminare i rivali e i contatti con casalesi e sevizi segreti

La testimonianza di Andrea Pradissitto, sposato con la figlia del capo famiglia Ferdinando Furt. Estorsioni, usura e le atre attività

Oltre cinque ore di testimonianza in videcollegamento per ricostruire le modalità di azione dei clan criminali pontini e rivelare anche qualche scenario indedito. A parlare davanti al primo collegio penale del Tribunale di Latina presieduto da Gian Luca Soana nel processo "Puro Sangue Ciarelli" il pentito Andrea Pradissitto per anni componentedi entrambe le famiglie rom essendo il genero del capo Ferdinando Furt Ciarelli e di Maria Rosaria Di Silvio, sorella di Armando. 

Il 34enne nel 2020 ha scelto di diventare collaboratore della Direzione distrettuale antimafia e ieri in aula, ascoltato dal pubblico ministero Valentina Giammaria, ha raccontato le vicende di quasi venti anni di dominio sulla città per supportare l'accusa nei confronti di Ferdinando Ciarelli detto ‘Macu’, Matteo Ciaravino, Manuel Agresti, Carmine Ciarelli detto Porchettone, Antoniogiorgio Ciarelli, Ferdinando Furt Ciarelli, il 23enne Ferdinando Ciarelli, Pasquale Ciarelli e Rosaria Di Silvio, accusati a vario titolo di estorsione, truffa, violenza privata, danneggiamento e lesioni, reati aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolazione mafiosa. La sua ricostruzione parte dall'alleanza di ferro tra le due famiglie nata nel 2010 in piena guerra criminale dopo gli omicidi di Massimiliano Moro e Fabio Buonamano, uccisi uno dopo l'altro nel giro di alcune ore. Una strategia nata nel corso di una riunione a casa di Armando Lallà Di Silvio con la partecipazione di molti componenti dei clan. "C'erano nemici da eliminare - ha spiegato - e tra questi Carlo Maricca, i fratelli Mazzucco, Maurizio Santucci, Mario Nardone e Fabrizio Marchetto: quest’ultimo in particolare veniva considerato l’esecutore materiale dell’omicidio di Ferdinando Di Silvio detto il Bello fatto esplodere con un’autobomba a Capoportiere. Le armi le procurava mio suocero". E in quegli anni  i Ciarelli e i di Silvio dovevano mantenere a tutti i costi il controllo di una serie di attività criminale nel capoluogo pontino:  in quegli anni in cui l loro potere era quasi incontrastato si occupavano di prestiti a tassi usurai anche a importanti imprenditori, di estorsioni, di droga. E sempre in quel periodo la forza del gruppo era tale che proprio Ferdinando Furt Ciarelli, sempre secondo il racconto di Pradissitto, aveva rifiutato un'offerta di Ettore Mendico che a nome del clan dei Casalesi era venuto a Latina per proporre un'allenza tra i gruppi.

Poi ha riferito di un altro racconto fattogli da Furt. "Mi disse di avere un contatto con un appartenente ai servizi segreti chiamato Lorenzo che gli aveva promesso di aggiustare alcune misure cautelari a suo favore e poi in riferimento all’omicidio di Moro gli aveva chiesto di consegnargli la pistola utilizzata per l’uccisione perché lui l’avrebbe utilizzata per fare accusare qualcun altro". In cambio, sempre secondo quanto riferito dal pentito, Ferdinando Ciarelli sarebbe dovuto diventare il referente dei servizi segreti a Latina.  L'udienza è stata poi rinviata al 24 maggio quando toccherà al collegio difensivo - composto dagli avvocati Alessandro Farau, Italo Montini, Luca Melegari, Maurizio Forte, Francesco Vasaturo, Marco Nardecchia, Amleto Coronella - fare le domande al pentito. Ieri non è stato possibile avendo i difensori rilevato in apertura di udienza la mancanza nel fascicolo processuale dei verbali contenenti le dichiarazioni rese dal pentito in questo specifico procedimento essendoci soltanto stralci nell’ordinanza cautelare.

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