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Cronaca Latina Lido / Viale del Parco

Omicidio Vaccaro, il giudice: “Tutti sapevano. Volevano punire Matteo”

Depositate le motivazione della sentenza del luglio scorso che ha condannato tutti e sei gli imputati. Per il giudice tutti erano "consapevoli del fatto che Alex fosse armato e del rischio che quella lite degenerasse"

Sono state depositate nei giorni scorsi le motivazioni con cui i giudici della Corte D’Assise spiegano la sentenza che lo scorso 15 luglio ha condannato i sei giovani ritenuti responsabili, in concorso, dell’omicidio di Matteo Vaccaro, il 31enne ucciso da un colpo di pistola al parco Europa di via Bruxelles nel gennaio del 2011.

Una lite con il cugino di uno degli imputati, avvenuta due sere prima di fronte al locale Pietranuda, gestito dalla famiglia della vittima, alla base della tragedia. I due gruppi antagonisti, da un lato i Vaccaro, dall’altro quello trascinato da Francesco D’Antonio, si erano incontrati alle dieci di sera per un chiarimento finito poi nel sangue.

Nelle 54 pagine di motivazioni, a firma del presidente della Corte Pierfrancesco De Angelis e del giudice Lucia Aielli, vengono analizzati nel dettaglio i retroscena e i passaggi del giorno del delitto, poi viene ricostruita la fase istruttoria del processo di primo grado, per poi passare a scomporre e spiegare ogni elemento probatorio che ha portato i giudici a convincersi della responsabilità dell’intero gruppo.

Una parte consistente del lavoro, infatti, è dedicata a motivare la contestazione del reato in concorso. “Il gruppo D’Antonio si compone e si coalizza con il dichiarato proposito, noto a tutti i partecipanti, di andare a punire i Vaccaro, punizione da attuare non certo a mani nude ma usando l’arma di cui evidentemente tutti sapevano, e che senz’altro doveva sparare, atteso che, Marroni erano l’unico ad indossare i guanti”.

Secondo i giudici, a rappresentare l’elemento portante del quadro probatorio, sono le dichiarazioni rese subito dopo dal Alex Marroni, il giovane che ha confessato di aver sparato, e quelle di Paolo Peruzzi. Le loro versioni coincidono e, rispetto alla dinamica degli spari, collimano anche con l’esito della perizia medico legale. Sono loro a indicare gli altri sulla scena del delitto ma la chiamata in correità, che ha comunque in sé l’elemento di prova, è supportata anche dalla testimonianza di Valerio, il fratello della vittima.

Secondo i giudici, non appena sceso dalle due auto, il gruppo raggiunge i due fratelli. Alex è armato, spara un colpo a terra, poi dice di vedere Matteo che infila una mano nel giubbotto, per prendere la pistola giocattolo, e immediatamente lo colpisce, ferendolo mortalmente. Che Matteo non abbia utilizzato la sua arma finta per i giudici è un dato certo, confermato dalla perizia.

Consistente la parte in cui si spiega come tutti i componenti abbiano avuto il proprio ruolo, nessuno di questi marginale. Tutti consapevoli del fatto che Alex fosse armato e del rischio che quella lite degenerasse. “D’Antonio funge da organizzatore e catalizzatore del gruppo”. “Il progressivo coalizzarsi del gruppo attesta l’esistenza del concorso materiale, piuttosto che una presenza meramente occasionale sul luogo del delitto”.

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