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Cultura

Gianni Savelli Media Res: alla scoperta dell’Uomo attraverso la musica

Gianni Savelli Media Res ha presentato a Latina l'ultimo album Magellano: un viaggio nella musica alla scoperta dell'uomo, ma la musica può essere un vero mezzo di conoscenza oltre che di comunicazione? Il sassofonista e compositore, ci racconta il suo punto di vista

Il primo appuntamento di aprile della rassegna curata dal BeJazz Collective, primo collettivo di artisti Jazz di Latina, è stato con Gianni Savelli e il suo progetto Media Res che ha suonato per un pubblico molto entusiasta alla Stoà di Latina la scorsa domenica, 3 aprile.

Gianni Savelli sassofonista e compositore nato a Napoli, vive e suona da anni a Roma, ha fatto parte di importanti orchestre come il Saint Louis Big Band di Bruno Biriaco, e questo aspetto “corale” della musica è forte e affascinante nelle sue composizioni. Negli anni ha collaborato con tantissimi artisti di fama internazionale, sia in studio che dal vivo, con la RAI partecipando a diverse edizioni del Festival di Sanremo. Compone musiche per il teatro, la televisione, per il cinema, jingle pubblicitari, passando da un genere all’altro con nonchalance. Nel 2000 ha dato vita al progetto Media Res pubblicando ben tre album: Media Res, Que la fete Commence e Magellano, uscito da pochi mesi.

Sei sono i brani dell’album proposti durante il concerto di Latina, che hanno accompagnato il pubblico in un vero e proprio viaggio alla scoperta dell’universo compositivo di Gianni Savelli, fatto di molteplici emozioni, eleganza, tantissime influenze, e un’atmosfera coinvolgente anche per i neofiti del jazz.

Come Magellano ha esplorato gli oceani in cerca di nuovi confini, così Gianni Savelli compie un viaggio all’interno della musica, e perché no, della natura umana, un viaggio che non è fatto di parole ma di suoni, ritmi e melodie, che i Media Res (Gianni Savelli al sassofono, Aldo Bassi alla tromba e flicorno, Enrico Zanisi al pianoforte, Luca Pirozzi al contrabbasso e Alessandro Marzi alla batteria) regalano generosamente al pubblico con un affiatamento e una bravura che coinvolgono e riempiono il cuore e le orecchie di pensieri, ricordi ed emozioni.

Come può la musica, in questo caso il jazz, essere un mezzo per conoscere l’Uomo? Come può l’arte essere un così potente mezzo comunicativo? Gianni Savelli, rispondendo a qualche domanda, ci racconta il suo punto di vista.

La tua biografia si caratterizza di tantissime collaborazioni, con artisti provenienti da generi molto diversi: musica pop, da film, per la televisione, per il teatro e moltissime altre. Cosa ti spinge a focalizzare i tuoi progetti personali sul Jazz? È stata una scelta alla quale sei giunto inconsapevolmente, semplicemente seguendo le tue passioni? O un desiderio preciso che ha influenzato le varie scelte della tua carriera?

Ho sempre pensato alla musica come un tutt’uno. Le etichette non hanno mai fatto particolarmente presa su di me, perché servono a separare, non ad unire. La musica nasce dalla vita, dalle esperienze che si fanno e dalle emozioni che riesce a ripescare nella nostra memoria. Da qui la possibilità di fare musica assieme agli altri, e non intendo solo i musicisti. Quando una persona viene ad un tuo concerto è parte integrante di quello che sta succedendo in quel momento anche in termini musicali. Anche se non la vedi negli occhi, la sua presenza ti influenza. Anche quando in privato si ascolta un disco accade qualcosa di simile, perché un lavoro discografico racchiude in sé una esperienza, un vissuto, ed è oltretutto ripetibile a proprio piacimento. Per questo non riesco a pensare alla musica in termini di steccati, di generi. L’unica distinzione che sono in grado di fare è tra buona musica e cattiva musica.
Se qualcosa è autentico, sincero, originale merita attenzione. Certamente poi i risultati possono essere diversi. Un sonetto di Shakespeare riesce a trovare delle angolazioni più intime, raffinate, profonde di una emozione. Per questo noi musicisti cerchiamo di migliorarci sempre. Non tanto per una specializzazione fine a sé stessa quanto per essere in grado di cogliere e comunicare sfumature sempre più sottili delle emozioni. Da qui il Jazz. Non tanto, o non solo, perché il mio strumento principale è il sassofono, e quindi certi amori vengono da sé. Quanto, piuttosto, perché nel secolo scorso il Jazz ha ereditato dalla musica cosiddetta classica il testimone della esplorazione nei differenti territori musicali e per certi versi si è spinto ancora oltre, grazie alla improvvisazione  e a una concezione del ritmo che viene dall’Africa che era sconosciuta alla musica europea.
 
Il Jazz, nonostante sia un genere ormai diffuso, è ancora visto come una musica colta, di nicchia. È davvero così?

È un paradosso considerare il Jazz come una musica colta o di nicchia. Negli anni trenta in America era addirittura la musica ballabile per eccellenza. In molti film degli anni cinquanta ed oltre spesso recita un ruolo da protagonista. Addirittura, nella musica leggera italiana fino agli anni sessanta sono riconoscibili molti elementi del Jazz. Poi è venuto il rock. Ma nel rock, se andiamo a guardare bene c’è molto più Jazz di quello che si pensa. Molti dei ritmi del rock sono basati su ritmi africani. Senza entrare nei dettagli c’è molto Jazz nella musica che si ascolta normalmente, ma non ce ne rendiamo conto. Per questo non ci vuole poi molto per appassionarsi a questa musica. Moltissimi amano Frank Sinatra, Ella o Nat King Cole. Per conoscere ed apprezzare altre cose è sufficiente un po’ di curiosità. Credo una cosa molto importante sia andare ad ascoltare musica dal vivo. Sentire i musicisti suonare per te è una esperienza formidabile per qualsiasi persona. Se ce ne priviamo corriamo il rischio di quei bambini che pensavano che i polli avessero quattro gambe avendoli conosciuti solo nelle confezioni dei supermercati. E allora il problema non è per il Jazz e neanche per la Musica, ma per l’Uomo.  
 
La figura di Magellano è quella di uomo avventuroso che si è spinto in mari sconosciuti per cercare “nuove strade”. La tua musica fa spesso riferimento al viaggio, a luoghi lontani; ascoltandola si possono infatti scorgere influenze, stratificazioni e citazioni. Durante la composizione della tua musica, da cosa trai ispirazione? Cosa ti colpisce maggiormente tra quello che ascolti, vedi e vivi? E come diventa tuo ed entra nella tua musica?

In un certo senso quando parliamo di luoghi parliamo delle persone che li abitano. Ed è certamente possibile dire anche l’esatto contrario. Cioè, gli uomini, l’ambiente in cui vivono e le culture cui questa simbiosi dà vita sono un tutt’uno. Le diverse musiche nelle varie culture sono le differenti espressioni dello stesso uomo che vive e cresce in circostanze diverse. Quindi esplorare luoghi nuovi, persone musica o cultura in generale, alla fine è la stessa cosa. O almeno per me è così. È difficile dire cosa sia a colpirmi in particolare. Ci sono innumerevoli sfumature diverse per raccontare. Ogni volta che scopri che altre persone, luoghi etc… raccontano qualcosa che profondamente ti appartiene in un modo diverso da quello cui sei abituato, scopri una nuova possibilità per raccontare te stesso. Così impari a dire quella cosa in un’altra maniera così che altri possano trovare a loro volta qualcosa di sé nel tuo racconto.
 
Il viaggio è un leitmotiv della tua musica, ma anche della tua vita, infatti a breve suonerai in diverse parti d’Europa. In questo periodo in cui si continua a parlare di confini, di migrazioni, di chiusura e di paura, di mancanza di integrazione e di integralismi vari. È cambiato il modo di viaggiare e l’accoglienza che si riceve in altri paesi? O la musica è veramente qualcosa che unisce le persone e fa comunicare anche realtà molto diverse tra loro?

Muovermi, e in particolare muovermi per suonare, è una delle cose che amo di più nella vita. Mi sento molto fortunato ad avere la possibilità di esplorare il mondo intorno a me in questo modo. Rispetto al tema più generale cui fai riferimento nella tua domanda direi una cosa molto semplice. Un elemento fondamentale per l’uomo nel corso della sua evoluzione è stato che davanti a situazioni che ne mettevano a rischio la sopravvivenza ha spesso reagito spostandosi in ambienti più favorevoli. Il muoversi, il cosiddetto migrare, è un tratto antropologicamente decisivo per la specie umana. Opporsi a questo per motivi economici, culturali o politici equivale a negare la nostra stessa natura umana. La musica, forse più di altre espressioni della nostra umanità, è uno strumento fondamentale per avvicinare e far comprendere reciprocamente persone e popoli che vivono situazioni di opposizione. In quest’ottica mi sento ancora più fortunato di potermi occupare di musica.

Le persone e il loro rapporto con la tua musica: ci sono momenti legati a qualche concerto, che rimarranno nella tua memoria per sempre? Qualche reazione o comportamento di persone che ti seguono che ti ha fatto davvero emozionare?

Ti racconto un episodio che è successo qualche anno fa. Ti parlo di un qualcosa che è accaduto tra me, la mia musica e una persona che ascoltava la mia musica. Vorrei però che lo inquadrassimo in una visione più generale, perché è quello che normalmente accade attraverso la musica, e non è certamente qualcosa di particolare che riguarda solo me.  Anni fa, proprio nei giorni immediatamente successivi alla morte di mio padre, mi trovai a buttare giù delle idee che poi, lavorandoci su, diventarono ‘Dance you can dance’ il brano di apertura del primo album di Media Res. Nel presentarlo ai concerti quasi sempre parlavo delle circostanze in cui il pezzo era stato scritto. In una occasione in cui non lo feci, alla fine del concerto mi raggiunse nei camerini una ragazza che, in lacrime, mi raccontò di aver vissuto una grande emozione pensando, durante tutto il brano, al suo papà.
Non penso ovviamente di aver nessun potere particolare, né penso che quel pezzo ‘significhi’ quello o qualsiasi altra cosa in particolare. Certamente la musica però, tutta la musica, non la mia, o se vogliamo non solo la mia, ha un enorme potere evocativo. Proprio per questo credo valga la pena tentare nuove esplorazioni. Non puoi mai escludere che, per chi salga a bordo, questo non possa significare ritrovare qualcosa di sé.

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