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"Fine pena mai": il documentario sul carcere di Santo Stefano alla Festa del cinema di Roma

La proiezione sarà domani, 22 ottobre, alle 21. La commissaria Costa: "Un racconto che ci porterà a conoscere un patrimonio architettonico che fa parte della nostra storia"

Si intitola "Fine pena mai" il documentario storico di Salvatore Braca sul carcere borbonico di Santo Stefano, che verrà proiettato fuori programma alla Festa del cinema di Roma domani, 22 ottobre, alle 21. Ad annunciarlo è il commissario straordinario del Governo per il recupero e la valorizzazione del carcere Silvia Costa, che ringrazia Antonio Monda, direttore della Festa del cinema di Roma, per aver accolto la proposta di proiettare il lavoro di Salvatore Braca. 

L'evento sarà anche l'occasione per evidenziare l'importanza del progetto di recupero e valorizzazione della struttura penitenziaria sul quale è impegnata dallo scorso gennaio la commissaria Silvia Costa. L'obiettivo è quello di rendere l'ex carcere borbonico un centro polivalente culturale, museale di alta formazione e residenza artistica. Un polo turistico di eccellenza che potrà essere anche un volano economico e produttive per l'arcipelago pontino.  Ha confermato la presenza in sala anche il ministro per i Beni e le Attività culturali Dario Franceschini, insieme al sindaco di Ventotene Gerardo Santomauro, al responsabile unico del contratto Giampiero Marchesi e ai referenti di Invitalia e delle amministrazioni che siedono al tavolo istituzionale permanente istituito dalla commissaria.

“Il penitenziario di orgine borbonica, nelle isole dell’arcipelago pontino è un luogo sacro alla memoria della libertà - spiega Silvia Costa - La sua storia di reclusione e torture è raccontata dai padri della patria come Luigi Settembrini che vi fu rinchiuso nel 1851 fino ad arrivare a Sandro Pertini, futuro presidente della Repubblica italiana, condannato dal Tribunale Speciale per la difesa dello Stato nel 1929. Da luogo tremendo di espiazione e tortura per più di cento anni, definito “la tomba dei vivi” si trasforma nel 1952 con l’illuminato direttore Eugenio Perucatti in un luogo di redenzione e diventa un carcere modello visitato anche da delegazioni straniere, come quella svedese, quale esempio di autogoverno sicuramente tra i più progrediti d’Europa. L’avvocato Perucatti infatti, precorrendo i tempi della legge Gozzini crea un carcere innovativo, basato sul lavoro dei detenuti con l’intento di ridare speranza e dignità a chi ha sbagliato

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