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Cronaca Terracina / Via Firenze

Aborto non riuscito, il tribunale condanna l’Asl di Latina

I fatti sono accaduti nel 2001, quando una donna si era recata al Fiorini di Terracina per un'interruzione di gravidanza. Dopo qualche settimana aveva scoperto di essere ancora incinta

È sicuramente una vicenda che ha dell’incredibile quella vissuta da una donna originaria del capoluogo che nel 2001 si era recata all’ospedale Fiorini di Terracina per un’interruzione della gravidanza.

Per problemi personali e a causa di un matrimonio fallito alle spalle aveva deciso di abortire e per questo si era recata all’ospedale terracinese. Nessun problema, fino a questo punto. L’intervento, anche a detta dei medici del nosocomio pontino, era perfettamente riuscito e la donna poteva tornare a casa.

Ma in realtà le cose non stavano così. La signora, che all’epoca dei fatti aveva 35 anni, dopo qualche settimana si è accorta di essere ancora incinta. Qualcosa doveva essere andato storto durante l’operazione.

Da qui è partita una causa civile indetta dalla donna contro la Asl; una causa lunga dieci anni per quella che nel linguaggio comune viene detta “wrongful birth” - “nascita indesiderata” - che non ha mai visto la donna mollare, fino alla condanna dei giorni scorsi che le ha garantito un risarcimento di 200 mila euro. La vicenda è stata raccontata e poi riportata ieri dal quotidiano pontino La Provincia.

La 35enne, accorsasi troppo tardi di quanto le era accaduto non ha potuto far altro che continuare la gravidanza. Ma per essere aiutata e tutelata si è rivolta all’avvocato Simona Verdesca Zain. Insieme hanno indetto la causa civile che dopo anni le ha viste trionfare. La condanna emessa dal giudice Rosaria Giordano, sia contro la Asl che contro il ginecologo che all’epoca eseguì l’operazione, ha infatti garantito alla donna non solo il risarcimento in denaro, ma anche una vittoria morale. Durante la causa è stato infatti appurato che dopo l’operazione non era stata effettuata nessuna ecografia per accertarne l’esito positivo. Il legale aveva quindi parlato di una serie di danni subiti dalla donna su diversi piani, da quello biologico a quello morale, dalla vita di relazione ed esistenziale alla perdita di chance lavorative e patrimoniale.

Una tesi che è stata accolta in pieno dal giudice secondo la quale la vittima aveva visto leso il diritto di donna alla propria autodeterminazione anche per “l’obbligo” di mantenere un figlio dal punto di vista economico. Da qui, dunque, la condanna e il risarcimento di 200 mila euro.

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