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Venerdì, 19 Aprile 2024
Cronaca

Operazione “Job Tax”, associazione per delinquere in famiglia: come agivano i 7 arrestati

Braccianti sfruttati e prodotti fitosanitari non autorizzati utilizzati sulle culture di ravanelli: cosa è stato scoperto dai carabinieri del Nas durante le indagini

Ha permesso di sgominare un’associazione per delinquere finalizzata allo sfruttamento di manodopera extracomunitaria in agricoltura, all’impiego illecito di fitofarmaci non autorizzati nella coltivazione in serra, in particolare di ravanelli, oltre che ai reati di minacce ed estorsione ai danni di braccianti l’operazione denominata “Job Tax” di oggi arrivata al culmine di mesi di indagini condotte dai carabinieri del Nas su un’azienda agricola di San Felice Circeo dedita alla produzione di ortaggi.

L’operazione è scattata questa mattina all’alba, con i militari che hanno dato esecuzione all’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di sette persone. Nel mirino come detto, è finita un’azienda agricola con sede nel territorio di San Felice Circeo ma che conta 5 siti produttivi oltre che nella cittadina sul litorale pontino anche a Terracina e Sabaudia

L’indagine

L’indagine, è stato spiegato nel corso di una conferenza stampa a cui hanno preso parte i Walter Fava, a capo del Comando Gruppo carabinieri Tutela della Salute di Roma e il comandante provinciale dei Nas di Latina, Felice Egidio, ha preso il via nell’ottobre del 2019 scaturita da un’attività informativa dei militari del Nucleo Antisofisticazione e Sanità, sviluppata nel contesto dei servizi anti-caporalato disposti dalla Divisione Unità Specializzante dell’Arma, ed originata dalla denuncia di un cittadino bengalese che lamentava le condizioni di sfruttamento e le intimidazioni da parte di suoi connazionali, anche loro dipendenti della società.

Gli arrestati

Le indagini dei Nas hanno fatto luce su quello che è stato definito un “sodalizio crimonoso basato sul vincolo associativo di tipo familiare". A finire gli arresti, infatti, sono stati quattro componenti di una stessa famiglia residente a San Felice Circeo oltre ad un agronomo e due cittadini di origini bengalesi, di fatto due caporali, uno dei quali attualmente ancora residente a Terracina e un altro a Venezia ma che all’epoca dei fatti viveva nello stessa città pontina. Il capo della presunta organizzazione, che era anche l’amministratore dell’azienda agricola, era affiancato dai suoi due figli, un uomo anche egli socio e amministratore di fatto, e una donna anche lei socia e addetta alla contabilità amministrativa; sempre dello stesso nucleo familiare è finito in carcere anche il genero del capo e marito della donna, dipendente della società. Agli arresti, poi anche un agronomo, consulente esterno dell’azienda che forniva le indicazioni precise, forte delle sue conoscenze tecniche, per l’uso dei fitofarmaci.

"Job Tax": il video dell'oeprazione dei Nas

Le condizioni del lavoratori

Le complesse indagini sono state condotte dai Nas anche con servizi di osservazione, pedinamenti, intercettazioni telefoniche, oltre che grazie all’ausilio di testimonianze e all’analisi di importante documentazione che ha permesso di fare luce sul modus operandi dell’organizzazione e sulle condotte messe in atto dai sette indagati che approfittavano dello stato di necessità e vulnerabilità dei braccianti che, per lo più di nazionalità bengalese, indiana e pakistana, non conoscevano la lingua italiana ne tantomeno le regole contrattuali.

Secondo quanto accertato i dipendenti si prestavano a turni di lavoro con orari sempre superiori e giornate sempre superiori a quanto scritto nel libro unico del lavoro, e nei periodi di maggiore intensità, vale a dire i mesi da aprile a giugno, anche senza usufruire del riposo settimanale. I braccianti arrivavano a lavorare anche fino a 10-12 ore al giorno (ben oltre le 6 ore e mezza contrattualmente previste) costretti a rinunciare ai diritti minimi, a lavorare in condizioni proibitive e in violazione della normativa sull’igiene e la sicurezza sui luoghi sul lavoro, senza dispositivi di protezione, né scarpe e abbigliamento idonei. Il compenso orario quotidiano era di 4,5 euro all’ora, ben al di sotto di quello previsto dai contratti collettivi per il tipo di attività pari a 8,65 - 9,49 euro all’ora al netto dei contributi a carico del lavoratore. Dalla paga dei braccianti, poi, è stato appurato, venivano decurtati 6 euro al girono per il trasporto: uno dei due caporali usava infatti un Fiat Ducato per accompagnare i dipendenti al lavoro in condizioni degradanti e ammassandoli a bordo in numero superiore alla capienza. I braccianti, infine, erano anche costretti a sottoscrivere la ricevuta della busta paga con l’omessa contabilizzazione delle ore effettivamente prestate, pena il mancato pagamento della retribuzione, remunerandoli sistematicamente con stipendi inferiori alle ore lavorate (o a cottimo), in violazione dei contralti collettivi del comparto.

Il controllo

C’era poi, è stato spiegato nel corso della conferenza, una vera e propria azione di “controllo umiliante da parte di chi era deputato alla sorveglianza che si serviva anche di tablet per la misura del lavoro prestato dai braccianti”, che risultavano comunque assunti regolarmente. Ma la realtà era del tutto diversa. Nel dicembre del 2019 sono infatti state effettuate delle perquisizioni che hanno permesso di rinvenire e sequestrare dei quaderni paralleli alla documentazione ufficiale dove venivano annotati tutti i trattamenti di fitosanitari e venivano registrare le ore effettivamente prestate dagli operai che differivano rispetto al libro di lavoro di competenza della figlia dell’amministratore dell’azienda. Una vera e propria contabilità occulta. “Quello che è emerso durante i controlli - è stato spiegato - è la scaltrezza con cui gli indagati operavano. Ogni irregolarità che sapevano di fare riuscivano ad occultarla”.

L’uso dei fitofarmaci

Altro importante particolare emerso nel corso dell’indagine era l’uso nelle coltivazioni di fitofarmaci. Nel specifico è stato possibile accertare l’utilizzo di prodotti fitosanitari non autorizzati sulle colture di ravanelli destinati al mercato locale, italiano ed europeo. Prodotti che venivano immessi sulle culture causando un’ipotetico danno alla salute pubblica; particolare questo su cui sono in corso ulteriori accertamenti. Durante le varie perquisizioni sono stati rivenuti e sequestrati, all’interno dell’azienda e nelle abitazioni degli indagati, 244 litri di prodotti fitosanitari non autorizzati all’impiego in agricoltura. L’obiettivo, è stato spiegato, era quello di massimizzare la capacità produttiva e avere più profitto. Emblematico il caso di un cittadino indiano, clandestino, a cui, come anche ad altri dipendenti, venivano fatti usare i fitofarmaci senza nessuna formazione o nessun patentino e senza alcun dispositivo di sicurezza mettendo anche a rischio la sua incolumità. 

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