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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca Fondi

Damasco 2: in Appello reggono le accuse, ridotte alcune pene

Confermata la contestazione dell'aggravante mafiosa. Variano le condanne per sette dei ventitre imputati. I giudici hanno disposto la scarcerazione per Carmelo Tripodo e Aldo Trani, per decorrenza dei termini di custodia.

Sono sette le condanne ridotte con la sentenza emessa nel tardo pomeriggio di ieri dai giudici della prima sezione della Corte D’Appello di Roma nell’ambito del processo Damasco 2, sulle infiltrazioni mafiose nel Comune di Fondi e nel mercato ortofrutticolo della cittadina, oggetto di una lunga indagine da parte dei carabinieri di Latina scaturita con una maxi operazione nel luglio del 2009

Ridotta la pena per Carmelo e Venanzio Tripodo, da quindici a dieci anni e otto mesi, per Aldo Trani, da tredici a nove, cinque anni e sei mesi per Antonino D’Errigo, sei anni per Franco Peppe, per entrambi sette in primo grado, sei anni per Riccardo Izzi, due mesi in meno.

Con la sentenza di ieri, per decorrenza termini, sono stati rimessi in libertà Carmelo Tripodo e Aldo Trani. L’accusa di associazione per delinquere di stampo mafioso è stata confermata per tutti gli imputati ai quali era stata riconosciuta in primi grado. Le restanti condanne, di posizioni minori, sono rimaste invariate. Variazione anche per Maria Laura Trani, condannata a due anni con la sospensione della pena. In una delle ultime udienze il procuratore Arcibaldo Miller aveva chiesto la conferma della sentenza emessa dal tribunale pontino.

Il primo grado, che si era tenuto davanti ai giudici del collegio penale di Latina, presieduto da Lucia Aielli, si era concluso nel dicembre del 2011 con condanne per 110 anni di reclusione per ventitre imputati, e il riconoscimento del reato associativo, la presenza di un’associazione mafiosa che avrebbe condizionato gli affari del Mof e diverse attività dell’amministrazione comunale. Il secondo processo, dopo “anni 90”, che vedeva riconosciuta la presenza della mafia nel Lazio.

L’esito del processo d’appello conferma in sostanza l’impianto accusatorio, soprattutto perché resta il riconoscimento della contestazione dell’aggravante mafiosa. 

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