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Cronaca

'Alba Pontina', i pm e le parti civili: "Il gruppo di Campo Boario era un'organizzazione mafiosa"

L'accusa ha chiesto condanne per complessivi cento anni di carcere per Armando Di Silvio e gli altri sette componenti del clan

Nuova udienza oggi del processo ‘Alba Pontina’. Nell’aula della Corte di Assise di Latina hanno preso la parola prima i pubblici ministeri, poi i legali delle parti civili costituite e infine sono iniziate le arringhe degli avvocati difensori. In apertura il presidente Gianluca Soana ha comunicato la sostituzione di un componente del primo collegio, circostanza in seguito alla quale i rappresentanti dell’accusa Luigia Spinelli e Claudio De Lazzaro hanno riproposto la loro requisitoria concludendo con le richieste di condanna per gli otto imputati chiamati a rispondere a vario titolo di associazione di stampo mafioso, traffico di sostanze stupefacenti, estorsione, violenza privata, favoreggiamento, intestazione fittizia di beni, riciclaggio e reati elettorali previsti dal Codice Antimafia. 

Le richiesta di condanna dei pm

La Procura ha chiesto 25 anni di reclusione per Armando Lallà Di Silvio; 15 anni per la moglie Sabina De Rosa; 11 anni per Francesca De Rosa e altrettanti per Genoveffa Di Silvio e Angela Di Silvio; sei anni ciascuno per Giulia Di Silvio e Tiziano Cesari; 15 anni per Federico Arcieri. I pm hanno ricostruito l’ascesa del clan criminale di Campo Boario a partire dal 2010 in coincidenza con la guerra criminale spiegando come nel corso degli anni il gruppo abbia conquistato le principali piazze di spaccio del capoluogo pontino anche grazie all’inchiesta Don’t Touch che aveva messo fuori gioco il gruppo Travali e che ha spinto Agostino Riccardo e Renato Pugliese a passare con i Di Silvio prima di diventare poi collaboratori di giustizia. “Il processo – hanno sottolineato Spinelli e De Lazzaro – ha offerto ampia prova che si trattava di un’organizzazione di stampo mafioso”.

Le parti civili

Poi la parola è passata alle parti civili. Per la Regione Lazio l’avvocato Carlo D’Amata ha messo in evidenza il danno enorme provocato alla collettività e alle strutture sanitarie dall’attività di spaccio di stupefacenti mentre l’avvocato Francesco Cavalcanti, costituito parte civile per il Comune di Latina, ha sottolineato come la forza dell’organizzazione abbia condizionato la società civile interessando trasversalmente categorie professionali diverse. “L’amministrazione comunale di Latina – ha ricordato – ha a cuore il valore della legalità tanto da avere istituito un assessorato ed un ufficio ad hoc: l’azione di questo gruppo ha danneggiato l’immagine della città e bisogna evitare che comportamenti di questo genere vengano replicati”. Il legale dell’associazione ‘Caponnetto’ Felicia D’Amico ha ricordato come fino a qualche anno fa era impensabile parlare di mafie in riferimento al Lazio e ha aggiunto che "la presenza delle associazioni sul territorio sono un punto di riferimento per i cittadini”.

Poi la parola è passata alla difesa. Hanno parlato l'avvocato Emiliano Vitelli, legale di Federico Arcieri, e Emanuele Farelli.

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