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Cronaca

Estorsioni a imprenditori e commercianti attraverso il profilo Facebook "Puro Sangue Ciarelli": 15 arresti nel clan

L'indagine coordinata dalla Dda di Roma e condotta dalla squadra mobile di Latina dopo le nuove dichiarazioni dei pentiti. In carcere i componenti del clan "proteggevano" i detenuti in cambio di soldi

Un'indagine coordinata dalla Direszione distrettuale antimafia di Roma e condotta dalla squadra mobile di Latina, nata in seguito approfondimenti investigativi scaturiti dalle dichiarazioni rese in diversi interrogatori da alcuni collaboratori di giustizia relativamente alle attività illecite e agli affari della famiglia Ciarelli. Quindici le persone arrestate questa mattina in esecuzione di un'ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del tribunale di Roma.

I nomi degli arrestati

Le accuse e l'aggravante mafioso

Gli indagati sono a vario titolo ritenuti responsabili di estorsione, truffa, violenza privata, danneggiamento e lesioni, reati aggravati dal metodo mafioso e dalla finalità di agevolazione mafiosa. L’attività è stata eseguita dalla Squadra Mobile di Latina, con la partecipazione di 4 equipaggi del reparto Prevenzione crimine di Roma, il supporto di unità cinofile antidroga ed anti esplosivo e del reparto volo di Partica di Mare, in collaborazione con le Squadra Mobili di Perugia, Teramo, Siracusa e Lecce, oltre che del Nucleo investigativo centrale della polizia penitenziaria -nucleo regionale Lazio e dei reparti penitenziari degli altri istituti interessati.

Le dichiarazioni dei pentiti

Grazie alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia è stato ricostruito dagli investigatori un sistema di usura ed estorsione di cui erano vittime imprenditori pontini, commerciali e altri cittadini, vessati dai componenti del clan rom. I servizi di natura tecnica e le testimonianze delle stesse vittime di estorsioni e violenze private hanno poi consentito di dare riscontro alle dichiarazioni dei pentiti che, nel corso di numerosi interrogatori, hanno anche ricostruito le dinamiche criminali, presenti e passate, sviluppate sul territorio di Latina e della sua provincia. Le indagini hanno dunque fatto emergere come per 10 episodi estorsivi siano stati utilizzati metodi tipicamente assimilabili a quelli adottati dalle mafie, come la minaccia di ritorsioni nei confronti delle vittime, la spendita del nome Ciarelli come segno di appartenenza al gruppo criminale per amplificare l'efficacia delle azioni intimidatorie, l'affermazione del potere di riscossione del pizzo da parte del clan derivante da un capillare controllo del territorio. Così le vittime non avevano mai denunciato, lasciando emergere un diffuso stato di assoggettamento e omertà che le aveva portate addirittura a cambiare le proprie abitudini di vita.

La "protezione" dei detenuti in cambio di denaro

La detenzione in carcere di molti esponenti della famiglia Ciarelli non aveva inoltre rappresentato un ostacolo alle azioni illecite. Le indagini hanno infatti permesso di accertare come gli arrestati gestissero attualmente una forma di protezione dei detenuti in carcere pretendendo per questo "servizio" un pagamento in denaro che metteva al riparo da violenze, minacce e ritorsioni. Lo stato di detenzione dunque non aveva indebolito la capacità intimidatoria della famiglia, che continuato a fare richieste estorsive nei confronti di imprenditori e commercianti, alcuni dei quali comparsi come vittime e parti offese del processo Caronte. Per farlo utilizzavano i social network, Facebook in particolare, attraverso il profilo "Puro Sangue Ciarelli" per raggiugere le persone che si trovano sul territorio pontino.

Le intimidazioni nei locali della movida

L'attività del clan si insinua anche nella movida della città di Latina e perfino fra le attività balneari di Terracina, dove i rampolli della famiglia, spendendo il nome del clan, fino alla scorsa estate pretendevano di consumare gratuitamente cibi e bevande fino ad aggredire gli addetti alla sicurezza dei locali che cercavano di impedirglielo.

L'occupazione abusiva di un appartamento diventato base dello spaccio

In ultimo, l'inchiesta ha fatto emergere come i Ciarelli avessero occupato arbitrariamente un immobile di proprietà di un avvocato di Latina, senza più versare nel tempo alcun pagamento di affitto, ma trasformandolo in una base logistica per una piccola attività di spaccio di cocaina che veniva portata avanti per mantenere i familiari detenuti.

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