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Cronaca

Latina celebra il 25 aprile, il sindaco: "La Liberazione oggi. Questa è l’Italia in cui crediamo"

Il discorso del primo cittadino Damiano Coletta: "Proprio oggi in questo tempo della storia c’è chi non vuole ricordare o addirittura cerca di negare, seminando i germi dell’odio verso il diverso"

Si sono tenute questa mattina anche a Latina le celebrazioni del 74° anniversario della Liberazione. Nel Parco Falcone Borsellino il discorso del primo cittadino Damiano Coletta, che qui di seguito riportiamo integralmente:

Cara Latina, autorità, associazioni partigiane e combattentistiche, organizzazioni sindacali è bello essere qui, proprio oggi e in questo tempo della storia. Perché oggi si ricorda e si celebra la storia del nostro Paese, della nostra Repubblica e per me è un grande onore indossare la fascia, rappresentare le istituzioni con il dovere morale, etico e con il piacere di esserci, e nello stesso tempo rappresentare tutti i cittadini e le cittadine della nostra comunità. Vorrei provare a spiegare ai giovani il perché dell’importanza di essere qui a celebrare la Resistenza.

Non è un esercizio formale da svolgere passivamente ma è la rappresentazione di un valore imprescindibile da cui dobbiamo sempre partire: la Memoria. Cito lo scrittore Saul Bellow: “Tutti abbiamo bisogno della memoria. Tiene il lupo dell’insignificanza fuori dalla porta”. Se oggi siamo qui a parlare di libertà, di democrazia, di partecipazione, di solidarietà così come è scritto nella nostra Costituzione, lo dobbiamo a tutti coloro che hanno combattuto per liberare l’Italia e l’Europa dalla dittatura del nazifascismo. Se oggi siamo qui è perché vogliamo condividere con tutti e soprattutto con i più giovani il senso di questa celebrazione che poi è il senso della nostra storia, della costruzione e della nascita della Repubblica italiana.

Se oggi siamo qui è perché crediamo nei valori per i quali si è combattuto con la lotta partigiana e per i quali è stata scritta la nostra Costituzione. Ed in nome di questi valori dobbiamo sentirci cittadini attivi per il bene della comunità. Diceva Pietro Calamandrei: “Quei morti si sono riservati la parte più dura e più difficile; quella di morire e di testimoniare con la resistenza e la morte la fede nella giustizia. A noi è rimasto un compito cento volte più agevole, quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli”. Una storia in cui uomini e donne hanno sacrificato la loro vita per riconquistare la dignità delle persone, per reagire all’indifferenza in nome dell’antifascismo. Ce lo ricorda la sen. Liliana Segre: “L’indifferenza è stata colpevole allora perché non ci si può difendere da chi volta la faccia dall’altra parte, si cerca di difendersi da chi è violento, ma non da chi fa finta di non vederti e di non vedere. Ed è lo stesso pericolo che c’è anche oggi attraverso il razzismo ed altri orrori del mondo”.

Le leggi razziali del ’38, i rastrellamenti nei ghetti ebraici verso i campi di sterminio, l’abolizione del diritto di sciopero, un insieme di legge costitutive di una illegalità diffusa che trasformarono l’ordinamento giuridico in un regime, uno Stato imperialista e guerrafondaio, una diffusa ignoranza, una perdita generale della dignità umana. Venti anni di dittatura e cinque anni di guerra. Si rialzò la testa e si combattè contro tutto questo.

Perché la Resistenza fu una sollevazione popolare nata spontaneamente nelle città, nelle periferie, nelle campagne e sulle montagne, coglieva il bisogno di pace, di giustizia e di libertà. In Europa, la Resistenza è stata un moto di liberazione nazionale contro il nazismo. In Italia la guerra contro il nazismo è stata insieme una lotta di liberazione dalla dittatura fascista in nome dei diritti inviolabili dell’uomo, stabiliti ora dalla nostra Costituzione. Ha ridato dignità prima alle persone e poi alla Nazione. “Ma la Resistenza ha avuto anche un significato universale: in quanto guerra popolare, spontanea, non comandata dall’alto, essa è stata un grande moto di emancipazione umana, che mirava molto più lontano e i cui effetti, proprio per questo, non sono ancora finiti: a una società internazionale più giusta, ispirata agli ideali di pace e di fraternità tra i popoli”. Sono parole di Norberto Bobbio.

In quello scenario diventa fondamentale il ruolo delle donne, partigiane combattenti, staffette o semplicemente persone pronte a dare il loro apporto anche preparando una pentola di minestra o recuperando abiti civili per i militari in fuga dopo lo sbandamento dell’esercito italiano. Ma, forse per la prima volta, pronte a decidere in prima persona da che parte stare, al di là dei vincoli familiari e della società del tempo.

Un evento simbolo è il famosissimo “sciopero del pane” del 16 ottobre del 1941 a Parma. Già proprio il pane, mai tanto attuale dopo il recente vergognoso episodio di Torre Maura. La protesta scoppiò per la riduzione della razione pro capite di pane. Le donne assaltarono un furgoncino della Barilla, formarono un corteo numeroso ed agguerrito che, al grido di “Pane, pane” riempì le strade cittadine ed impegnò le autorità fasciste per tutta la giornata. I documenti ufficiali hanno ridimensionato la partecipazione di massa a questa protesta e, soprattutto, la sua portata politica. Con questa protesta le donne, casalinghe ed operaie, non operarono solo sul fronte delle rivendicazioni materiali, ma espressero tutta la rabbia ed il dissenso popolare contro il regime, la guerra e le restrizioni che ne conseguirono. Questa manifestazione di massa è, quindi, da considerare l’atto di ingresso delle donne nel movimento antifascista e preludio del salto di qualità del loro ruolo all’interno del Comitato di Liberazione Nazionale. Ecco noi siamo questi. Cito qualche nome. Siamo Piero Gobetti, Ada Gobetti, Walchiria Terradura, Giacomo Ulivi, Tina Anselmi, Sandro Pertini, Irma Bandiera, Antonio Gramsci, Rita Rosani.

Richiamarsi a questi ideali non è un esercizio di retorica perché proprio oggi in questo tempo della storia c’è chi non vuole ricordare o addirittura cerca di negare, seminando i germi dell’odio verso il diverso, facendo nascere nuovi fascismi che impoveriscono e degradano la nostra società.

La forza di quella stagione è stata anche nel non confondere la guerra di liberazione con la vendetta ed il rancore. La forza di una democrazia – è stato scritto – consiste nell’includere anche chi si è trovato a combattere dalla parte sbagliata, nel riconoscere che c’è stato chi, per un malinteso senso dell’onore e della patria, ha combattuto in buona fede dall’altra parte. È questa idea inclusiva della democrazia, dello stato di diritto e della Costituzione, che ne è espressione massima, che ha permesso di amnistiare gli sconfitti e di impedire la prosecuzione della guerra di liberazione in guerra civile e in nuovi orrori e persecuzioni.

Perché antifascismo non vuol dire comunismo, come qualcuno erroneamente spesso vuole far credere, antifascismo significa democrazia e libertà.

Qualcuno ha parlato di derby tra destra e sinistra. Noi parliamo di scelta tra la dittatura e la democrazia. E la nostra scelta è di stare sempre dalla parte della democrazia e quindi della libertà.

Di questi ideali fa parte anche il Manifesto di Ventotene, la nostra Ventotene simbolo dell’Europa unita, scritto da Altiero Spinelli, Eugenio Colorni, Ernesto Rossi, pubblicato nel 1944.

La grandezza di questi uomini sta nell’aver visto, al di là delle apparenze, la linea evolutiva profonda della storia contemporanea. Ebbero la forza intellettuale di lanciare l’idea degli Stati Uniti d’Europa. Un impegno per creare le condizioni istituzionali e sociali per rendere le nostre democrazie durevoli nel tempo in opposizione ai sovranismi imperanti del tempo.

È probabilmente grazie a questa idea di Europa che si è riusciti a garantire 74 anni di pace nel nostro continente.

Anche questo, proprio oggi, in questo tempo, non possiamo dimenticarlo.

Il 25 aprile in sostanza è tutto questo.

Ci ricorda sempre che dobbiamo saper scegliere.

Possiamo scegliere di stare nelle nostre case, nell’indifferenza, nell’abitudine, nell’intolleranza, vivendo la nostra vita senza pensare ad altro, mentre altri decidono per noi.

Oppure possiamo scegliere di essere cittadini attivi, consapevoli, che conoscono la storia da cui siamo nati, che si riconoscono nei valori della libertà, della democrazia, della partecipazione e della solidarietà.

Che accettano e rispettano le diversità, che sanno includere le persone più fragili e non le lasciano indietro, che dicono “prima le persone”.

Che sono orgogliosi e fieri dell’unità del nostro Paese, unità garantita anche dalle battaglie sui diritti civili che hanno contrassegnato la nostra storia.

Disconoscere e negare i diritti civili acquisiti sarebbe come negare l’alfabeto della società civile.

Alfabeto iniziato con il diritto di voto alle donne nel giugno del ’46 poi sancito dall’art. 3 della Costituzione che stabilisce il principio di pari dignità sociale e di uguaglianza senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Alfabeto dei diritti civili che negli anni 70/80 vede l’approvazione di varie leggi come quella del divorzio, la riforma del diritto di famiglia e la legge 194 che legalizzando l’interruzione di gravidanza ha sottratto migliaia di donne al dramma degli aborti clandestini e ha sancito il principio di autodeterminazione della donna.

E poi l’Italia che ha saputo combattere il terrorismo, che combatte contro le mafie.

Questa è l’Italia per la quale le donne e gli uomini della Resistenza hanno dato la vita.

Il nostro Presidente Sergio Mattarella, nel suo discorso del 25 aprile dello scorso anno, sottolinea come non vada sottovalutato il ritorno di sentimenti razzisti, antisemiti e negazionisti: “In tanti Paesi, le società di oggi, pur passate attraverso i drammi umani, le sofferenze e le macerie del ventesimo secolo, sembrano, talvolta, aver attenuato gli anticorpi all’egoismo, all’indifferenza e alla violenza. Chi ha lottato, chi ha sacrificato la propria vita, per la libertà, per la giustizia e per la democrazia costituisce un esempio per tutti e ci ha consegnato un patrimonio di valori che va custodito e trasmesso”.

Questo è il privilegio ed il dovere che la Liberazione ci ha lasciato: saper difendere i valori dei diritti dell’uomo, saper difendere la libertà e la democrazia.

Liberazione oggi vuol dire l’Italia che sta in Europa, per gli Stati Uniti d’Europa.

Liberazione oggi vuol dire tutelare chi lavora e chiede diritti e chi chiede giustizia, equità e protezione sociale.

Liberazione oggi vuol dire tutelare gli insegnanti, soprattutto quelli precari, che insegnano il futuro ai nostri figli anche attraverso lo studio della Storia.

Liberazione oggi vuol dire tutelare il diritto allo studio, così come sancito dall’art. 32 della Costituzione, sapendo stimolare nelle giovani generazioni il valore della ricerca, della conoscenza e della competenza.

Liberazione oggi vuol dire solidarietà ed accoglienza, rispetto delle vite umane e delle persone che cercano un destino diverso, fuggendo dalle guerre, senza dimenticare che siamo stati e siamo migranti anche noi.

Liberazione oggi vuol dire essere cittadini attivi in nome del Bene Comune.

Liberazione oggi è Simone, il ragazzo di Torre Maura, ed è anche Greta Thunberg che reclama il diritto di abitare su questa terra in nome dello sviluppo sostenibile.

Questa è l’Italia che ci hanno consegnato. Questa è l’Italia in cui crediamo e che dobbiamo custodire.

Viva la Resistenza! Viva l’Italia libera e democratic

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