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I risvolti dell'indagine

'Ndrangheta sul litorale, chiuse le indagini: 66 persone a rischio processo

Le indagini della Dda avevano portato a febbraio all’arresto di 65 persone, sette delle quali ad Aprilia, gravemente indiziate di far parte di un'associazione per delinquere di stampo mafioso. L’operazione tra Anzio e Nettuno

Sono 66 le persone che rischiano di finire a processo nell’ambito dell’inchiesta della Dda che nel febbraio scorso aveva portato all’arresto, da parte dei carabinieri del nucleo investigativo della Capitale, di 65 persone gravemente indiziate di far parte di un'associazione per delinquere di stampo mafioso. 

Una maxi operazione, figlia dell’inchiesta coordinata dai procuratori aggiunti Michele Prestipino e Ilaria Calò con i pm Giovanni Musarò e Francesco Minisci, quella scattata otto mesi fa che aveva fatto luce sulle sulle infiltrazioni della 'ndrangheta sul litorale tra Anzio e Nettuno. I reati contestati a vario agli arrestati erano quelli di associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravata dal metodo mafioso, cessione e detenzione ai fini di spaccio, estorsione aggravata e detenzione illegale di armi da fuoco, fittizia intestazione di beni e attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti aggravato dal metodo mafioso. E tra i 65 arrestati c'erano anche sette persone che gravitavano o erano residenti nel territorio di Aprilia. 

Come riporta RomaToday, sono ora 66 le persone che rischiano il processo dopo la chiusura delle indagini della Procura di Roma, fatta sulla base delle ricostruzioni della Dda. Secondo quanto emerso, ai vertici dei due distinti gruppi criminali, distaccamenti delle 'ndrine di Santa Cristina d'Aspromonte in provincia di Reggio Calabria e di Guardavalle in provincia di Catanzaro, c'erano Giacomo Madaffari, Bruno Gallace e Davide Perronace.

Le indagini avrebbero così fatto emergere l'esistenza di due associazioni finalizzate al narcotraffico, entrambe dotate di elevate disponibilità finanziarie e logistiche, nonché delle capacità di approvvigionare e importare dal Sud America ingenti quantitativi di cocaina. I clan puntavano così a “colonizzare” il litorale romano tentando di infiltrarsi anche nelle Amministrazioni locali attraverso la gestione e il controllo di attività economiche nei più svariati settori.

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