rotate-mobile
Cronaca Sermoneta

Epatite C, due persone infette hanno continuato a donare: risarcito un altro paziente

Il caso riguarda un uomo di 47 anni che era stato trasfuso al Goretti nel 1988 quando aveva 17 anni. Ribaltata in Appello la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la prescrizione. Risarcimento da 120mila euro

Ancora una storia di contagi da sangue infetto in terra pontina. Dopo la sentenza dei giorni scorsi che ha condannato il ministero della Salute a risarcire con 520mila euro gli eredi di una donna deceduta un anno fa che aveva contratto l’epatite C a seguito di trasfusioni al Goretti, un altro caso riguarda un uomo di 47 anni di Sermoneta che venne trasfuso all’ospedale di Latina nel 1988 quando aveva 17 anni.

La battaglia in tribunale

l paziente aveva scoperto nel 2000 di aver contratto l’epatite C e attraverso l’avvocato Renato Mattarelli aveva iniziato nel 2009 una causa in tribunale, poi terminata nel 2010 con la prescrizione. In seguito alla pronuncia di prescrizione era stato proposto appello e oggi, dopo una lunga battaglia, 30 anni dopo le trasfusioni, il paziente ha ricevuto giustizia ottenendo dalla Corte d’Appello di Roma una sentenza che ha rovesciato quella del tribunale di Roma.  Secondo la Corte d’Appello infatti, il tribunale di primo grado “era incorso in un errore materiale nell’individuare il termine da cui iniziavano a decorrere i cinque anni di prescrizione per avviare la causa contro il ministero. E’ stata ribaltata la tesi dell’avvocatura dello Stato secondo cui la prescrizione inizierebbe a decorrere dal giorno delle trasfusioni o dal giorno in cui il paziente aveva scoperto di essere infetto. Accogliendo invece la tesi dell’avvocato Mattarelli, la Corte d’Appello ha invece affermato che, per far decorrere la prescrizione, non è sufficiente che il paziente sappia di aver contratto il virus ma è necessario che sappia che quell’infezione dipenda proprio dalle trasfusioni di sangue somministrate in ospedale e non da una tragica fatalità.

La storia del contagio

Il legale dell’uomo ha ottenuto che un perito medico legale nominato dalla Corte ottenesse dalla Asl di Latina le schede dei donatori delle sacche di sangue trasfuse, da cui è risultato che alcuni donatori non erano più rintracciabili. Le schede hanno rivelato però che uno dei  donatori “per motivi non noti e imprecisati, è stato sottoposto a indagini e prassi usuali prima della donazione dalle quali si evinceva la positività all’antigene C22 dell’Hcv e poi sospeso definitivamente dal circuito di donazione”, mentre un altro “aveva nuovamente donato in data 28 novembre del 1990” e in questa circostanza era risultato positivo agli anticorpi Hcv. Dati questi che hanno portato ad affermare che l’uomo di Sermoneta fosse stato infettato proprio da questi due donatori o forse da altri non rintracciati, nonostante proprio nel 1988 fu imposto il termotrattamento contro il rischio di trasmissione del virus dell’epatite C.

Il commento del legale

“Qualcosa nei controlli – spiega l’avvocato Mattarelli – non deve aver funzionato bene e per questo la Corte d’Appello ha condannato il ministero a risarcire l’uomo con 120mila euro. Resta da capire perché i due donatori, dopo aver verificato la positività dei due donatori, l’uomo di Sermoneta non sia stato richiamato ai controlli virali visto che risulta chiaramente che venne trasfuso con sangue infetto di persone infetti che hanno donato sangue per anni prima di essere esclusi”. 

Si parla di

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Epatite C, due persone infette hanno continuato a donare: risarcito un altro paziente

LatinaToday è in caricamento