Bracciante pestato dai datori di lavoro, il Tribunale nomina un mediatore per il processo
Prima udienza per gli imprenditori Fabrizio e Daniele Tombolillo accusati di estorsione, rapina e lesioni personali aggravate
Il Tribunale di Latina ha nominato un traduttore-mediatore che dovrà provvedere, tra le altre cose, a tradurre alcuni messaggi in chat inseriti tra gli atti del processo a carico di Fabrizio e Daniele Tombolillo, padre e figlio, accusati di estorsione, rapina e lesioni personali aggravate per avere picchiato selvaggiamente un bracciante indiano impiegato nella loro azienda agricola. L’incarico è stato affidato ieri mattina, poi il rinvio al 5 maggio prossimo quando prenderà il via la vera e propria fase dibattimentale del processo.
Il 53enne Fabrizio Tombolillo e il figlio 23enne Daniele, titolari dell’azienda ‘Orticola Tombolillo’ di Borgo Hermada a Terracina, sono stati arrestati due volte. La prima dopo la denuncia di un 33enne indiano che era arrivato al pronto soccorso dell’ospedale di Terracina con ferite al capo riconducibili a colpi ricevuti con un corpo contundente, fratture e lesioni personali in varie parti del corpo. Una reazione alla richiesta da parte del lavoratore di avere i dispositivi di protezione personale anti Covid. I due erano stati poi scarcerato ma le ulteriori indagini condotte dal sostituto procuratore Claudio De Lazzaro avevano portato, a maggio 2020, all’emissione di una nuova ordinanza cautelare che aveva posto il padre ai domiciliari e imposto al figlio gli obblighi di firma.
I controlli all’interno dell’azienda di Borgo Hermada hanno portato alla luce “un sistematico sfruttamento economico, con condizioni di lavoro difformi alla vigente normativa in materia di sicurezza e sanitaria"
I braccianti erano costretti a lavorare anche 12 ore al giorno, tutti i giorni della settimana, festivi compresi, senza riposo e senza congedi per malattia, in cambio di 4 euro l'ora. Ai braccianti, tra l'altro, in busta paga veniva contabilizzato soltanto un terzo delle giornate di lavoro effettivamente prestate e nessuno era provvisto dei dispositivi a tutela della normativa di sicurezza e dell'igiene.
Nel processo la vittima si è costituita parte civile gli avvocati Arturo Salerni e Silvia Calderoni.