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Una nuova trasposizione di Anna Cappelli: quando il teatro torna a casa con lo spettatore

Anteprima nazionale della trasposizione del celebre monologo di Annibale Ruccello curata da Renato Chiocca, con una Giada Prandi grande protagonista

Ha debuttato sabato 21 maggio al teatro Moderno la pièce teatrale di Annibale Ruccello Anna Cappelli nella versione che vede Renato Chiocca alla regia e una splendida Giada Prandi come protagonista.

Un monologo, ultima opera del compianto drammaturgo partenopeo scomparso prematuramente nella seconda metà degli anni ’80, che è come un colpo di pistola: lineare, veloce, penetrante e distruttivo.
In poco più di un’ora Giada Prandi nelle vesti di Anna Cappelli, giovane impiegata comunale che da Orvieto si trasferisce a Latina, racconta i sogni, le speranze, le emozioni di una donna e il loro sgretolarsi a una a una.

Sono gli anni ’60, la giovane donna lascia la sua città d’origine, abbandona la famiglia e si stabilisce in una realtà respingente. Ormai non si sente a casa a Orvieto, dove non ha nemmeno più la sua camera da letto, data a quella “farisea” della sorella Giuliana; ma non si integra nemmeno a Latina, dove le frivolezze e le chiacchiere maligne la fanno da padrone. Sogna una famiglia tutta sua, una casa tutta sua, un’esistenza vissuta a pieno. Accetta la corte del grigio ragioniere Tonino Scarpa e contro le sue convinzioni va a convivere con lui senza sposarsi, accetta di non avere figli e di dedicarsi totalmente a lui. Le cose non andranno come lei aveva sognato e questo le farà prendere una tragica, quanto sorprendente, decisione.

Una scenografia essenziale e fortemente simbolica

L’Anna di Giada Prandi si aggira in una scena semplicissima (a cura di Massimo Palumbo): una struttura in alluminio a forma di cubo. Una sorta di stanza, fortemente simbolica, che se da un lato più superficiale può incorniciare la scena e indicare un dentro e un fuori (che alla fine dello spettacolo assumeranno un significato ben più preponderante della mera collocazione fisica del soggetto) dall’altra potrebbe raffigurare ciò che la nostra protagonista vorrebbe, in opposizione a quel che realmente accade. Perché è questa continua distanza tra ciò che Anna sogna e desidera e ciò che in realtà si trova a vivere che ne forgia il carattere e ne decide i comportamenti.

L’interpretazione di Giada Prandi

L’ossessione per ciò che è suo o vorrebbe che lo fosse, e ciò che gli altri decideranno per lei che non lo è più (una stanza, una casa, un uomo), è una caratteristica distintiva di Anna. La donna dapprima simpatica, ironica, a volte comica, morigerata, speranzosa, diventa poi sempre meno sicura, meno aperta, più possessiva, disperata. L’interpretazione di Giada Prandi rende perfettamente questa curva discendente: se dapprima i toni sono comici, quasi sopra le righe, pian piano si fanno sempre più cupi, più oscuri e malati. Giada riesce a rendere perfettamente tutti i registri, l’espressione sbarazzina diventa sempre più ossessiva, il corpo prima composto prende poi a vibrare, muoversi, cercare appigli, senza trovarne alcuno. Il suo travaglio cattura il pubblico e ne calamita l'attenzione per tutta la durata del monologo, senza mai risultare pesante, in una interpretazione davvero coinvolgente.

Un taglio registico particolare

Questo monologo nell’arco di circa trent’anni è stato riproposto a teatro svariate volte, da grandi compagnie, grandi interpreti, e non potrebbe essere altrimenti perché, in maniera del tutto moderna e originale, il testo permette di riflettere su una serie di temi sempre attuali e guarda nel profondo l’universo femminile. La trasposizione curata da Renato Chiocca pone ancor di più l’attenzione sull’interiorità di Anna, sul suo percorso emotivo e mentale, sul suo dramma personale. L’Anna pensata da Chiocca non interagisce con altri personaggi assenti, ma sembra parlare al pubblico, che interpreta di volta in volta la signora Tavernini o il ragioniere Scarpa di turno. E dunque Giada Prandi non parla con una immaginaria proprietaria di casa circondata da "gatti puzzolenti" che si aggira sul palco, ma attraversando la fatidica quarta parete si rivolge direttamente al pubblico, in un rimando ancora più interessante perché lo spettacolo si è svolto proprio a Latina, dove è ambientata la vicenda. I toni comici non mancano, ma l’aspetto più triste e desolante della situazione tende a smorzarli, a renderli più amari, fino a un ultima parte che vira alla tragedia e incalza il ritmo in maniera serrata.

Uno spettacolo che accenna attraverso sfumature e pone lo spettatore nella condizione di proseguire la sua riflessione anche dopo essere uscito dal teatro, perché, sebbene non ci siano possibili fraintendimenti, quanto appena visto apre un mondo di pensieri, associazioni, idee ed emozioni, ed è quanto di più bello il teatro possa fare.

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