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Anche la Regione si schiera coi produttori laziali di cacio romano

L'assessore all'Agricoltura Righini ha promesso di attivarsi per il riconoscimento della Dop

La Coldiretti chiama, l’assessore risponde. Nuovo capitolo della storia del cacio romano, prodotto caseario tipico del Lazio, ancora a caccia del riconoscimento della Dop. Giancarlo Righini, assessore regionale all’Agricoltura, ha deciso di affiancare la Coldiretti per dare il giusto riconoscimento al particolare formaggio. Una presa di posizione importante che arriva pochi giorni dopo l’importante sentenza della Cassazione che, di fatto, ha spianato al cacio romano la strada verso la denominazione di origine protetta.

La vicenda giudiziaria

L'appellazione di "origine protetta" è attualmente attribuita ad un altro formaggio stagionato, il pecorino romano. Nonostante il nome, però, il 97% viene prodotto fuori dal Lazio, in larghissima parte in Sardegna, ma anche nella provincia di Grosseto. Da anni, i produttori caseari laziali stanno proponendo l'istituzione del "cacio romano" di origine protetta. Contrari all’iniziativa, i produttori del consorzio per la tutela del formaggio pecorino DOP, di stanza a Macomer, in provincia di Nuoro. Dopo la sentenza a favore dei produttori laziali arrivata dalla Corte d’Appello, a marzo la Cassazione sembra aver chiuso definitivamente la vicenda dando ragione ai produttori laziali: cacio e pecorino sono due formaggi diversi e come tali vanno trattati.

Riaprire il dossier del cacio romano

La Coldiretti Lazio, tramite il presidente David Granieri, ha scritto una nota, indirizzata proprio all’assessore Righini, per chiedere “la riapertura del dossier cacio Romano, da troppo tempo fermo sui tavoli ministeriali”. Forte anche della vicinanza con l’attuale ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, che ha di recente partecipato a molte iniziative della Coldiretti, l’associazione dei produttori agricoli vuole accelerare i tempi per far avere al cacio romano la denominazione Dop.

Quote latte

“La mancanza del riconoscimento del marchio Dop - prosegue Granieri - penalizza il Lazio”. Avere il marchio Dop, invece, favorirebbe lo sviluppo del sistema zootecnico laziale, consentendo così l’utilizzo di una quota significativa di latte ovino, per la realizzazione di un prodotto di grande distintività e competitività sul mercato.

Prodotto da difendere

Secondo l’assessore Righini, "il cacio romano è uno dei tanti prodotti che rappresenta il nostro made in Italy e come tale va tutelato. Ci attiveremo – ha detto in una nota - per il riconoscimento della Dop così come sollecitato da Coldiretti Lazio”. Il marchio Dop del cacio romano “rappresenta pertanto un’opportunità non solo in termini di valorizzazione del prodotto, ma anche di sviluppo del sistema zootecnico, oltre che una crescita economica per la nostra Regione e – conclude Righini - un valido modo per contrastare quel cibo sintetico che metterebbe a rischio l’intera filiera agroalimentare con le nostre eccellenze e gli allevamenti di bestiame".

I numeri

Nel Lazio sono presenti oltre cinquemila allevamenti ovini con più di 800 mila capi, un numero che rende la regione la terza in Italia per la consistenza di patrimonio ovino. Nel Lazio ci sono, infatti, 350 allevamenti con più di 500 capi, che da soli coprono metà della produzione regionale. Nel Lazio il 5% degli allevamenti, superiori a 500 capi, detiene il 52% della produzione totale contro un 3% di allevamenti superiori ai 500 capi, a livello nazionale, che si ferma a coprire il 29% del patrimonio ovino nazionale.

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