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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

Omicidio Bergamini, i giudici: "Zappalà era consapevole che avrebbe ucciso la suocera"

Le motivazioni della sentenza con la quale il 46enne è stato condannato a 21 anni e 7 mesi per la morte della suocera. "Picchiata fino a quando non è entrata in coma"

Si è trattato di un omicidio volontario e non di un omicidio preterintenzionale. La condotta tenuta da Zappalà sia quando ha colpito più volte la Bergamini sia dopo avere terminato questa sua compulsiva azione indicano che ha agito nella consapevolezza che dalla sua azione sarebbe derivata quale probabile se non certa conseguenza la morte della donna”. 

Sono contenute in 24 pagine le motivazioni della sentenza con la quale la Corte di assise di Latina presieduta da Gian Luca Soana il 13 giugno scorso ha condannato il 46enne Antonino Salvatore Zappalà a 21 anni e sette mesi di carcere per l’omicidio della suocera. Nadia Bergamini, 70enne e invalida, venne colpita violentemente più volte per una banale discussione domestica e lasciata morire all’interno dell’appartamento in zona Morbella dove entrambi abitavano. L’imputato era chiamato a rispondere oltre che di omicidio volontario anche di lesioni nei confronti del padre che all'epoca dei fatti viveva con loro ed era stato picchiato e di resistenza a pubblico ufficiale. 

Nelle motivazioni la Corte sottolinea i numerosi “pugni inferti alla donna che le hanno devastato il viso” e ricorda come si sia fermato soltanto quando lei, ormai in coma, “è scivolata a terra non avendo più il suo corpo più reazioni. Un’azione alla quale ha cercato di opporsi inizialmente il padre dell’imputato cercando di indurre il figlio a fermarsi e divenendo oggetto anche lui dell’aggressione di Zappalà”. Ad aggravare ulteriormente la posizione dell’uomo, sempre secondo la Corte, la circostanza di non averla soccorsa e non avere chiamato un’ambulanza ma di essersene tornato tranquillamente nella sua stanza e avendo evitato di rispondere alle due telefonate della figlia della vittima e ponendo il chiavistello alla porta di casa. “In quella camera l’imputato è rimasto anche quando la Cepollaro accortasi di quanto avvenuto iniziava a urlare e cercava di tamponare le ferite”.  Secondo i magistrati e i giurati popolari questi comportamenti “dimostrano – si legge nelle motivazioni – la sua volontà di condurre la Bergamini alla morte non attivando quell’immediato soccorso che avrebbe potuto almeno fino a quel momento far sperare di salvarle la vita”. Scartata l’ipotesi di qualsivoglia provocazione da parte della vittima nei confronti del suo assassino “visto che era persona immobilizzata su sedia a rotelle e con gravi sofferenze collegate alle sue patologie”.

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