Caso Berardi, i figli si incatenano davanti all’ambasciata: “Ridateci nostro padre”
L'appello disperato dei due ragazzi che chiedono la liberazione del padre, l'imprenditore pontino in carcere in Guinea Equatoriale dal gennaio 2013. Ieri il sit in a Roma davanti all'ambasciata del paese africano
Un gesto di amore e disperazione quello dei due figli di Roberto Berardi, l’imprenditore pontino in carcere dal giugno del 2013 a Bata nella Guinea Equatoriale, per chiedere la liberazione del padre e l’intervento del governo italiano.
Ieri i due ragazzi si sono incatenati davanti all’ambasciata del paese africano a Roma con indosso una maglietta blu con la scritta “Ridateci nostro padre”: il grido di due ragazzi, ma anche di tutta la famiglia di Berardi e dei suoi amici, che da due anni combattono per vedere l’imprenditore pontino finalmente libero.
Oltre due anni di prigionia in cui Berardi è stato costretto a subire trattamenti disumani; è stato male, ha più volte contratto la malaria, ha perso decine di chili ed è stato rinchiuso in isolamento. Ma due anni di disperazione e dolore anche per chi, dall’Italia, ha combattuto per la sua liberazione.
In carcere perché condannato a due anni e quattro mesi per appropriazione indebita, per Roberto Berardi il 19 maggio scorso doveva essere il giorno della liberazione, ma non è stato così. Le autorità giudiziarie locali non hanno conteggiato la carcerazione preventiva fatta dall’imprenditore pontino dal giorno del suo arresto al 7 marzo 2013, primo giorno di condanna riconosciuto dallo stesso Tribunale. Da qui la decisione di fissare la scarcerazione al 7 luglio.
Una data che la famiglia e i parenti di Berardi non riconosce come legittima ed ha richiesto più volte la sua immediata scarcerazione, ma fino ad ora le loro richieste non sono state ascoltate.