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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Pizza napoletana, pizza romana e pinsa: Latina come crocevia di tipicità

Che differenze ci sono tra pizza e pinsa? E tra pizza napoletana e pizza romana? Qual è la storia di queste golosità salate?

La pizza è uno dei piatti più amati da grandi e piccini, da mangiare a cena o a pranzo, in compagnia o da soli, semplice o farcita, tradizionale o gourmet, rotonda al piatto o al taglio da portar via.

Al di là dei condimenti, le tipologie di pizze sono tante e seguono i gusti dei vari golosi, ma quali sono le differenze? E cos’è la pinsa, l’impasto gustoso che ultimamente si sta diffondendo sempre di più nei locali pontini?

La pizza napoletana

Ha bisogno di poche presentazioni, è praticamente il cibo patrimonio dell’umanità che ci invidia tutto il mondo e vista la posizione geografica della provincia pontina, questo modo di preparare la pizza è molto diffuso dalle nostre parti. La pizza napoletana è un preparato a base di farina 00, acqua (che raggiunge anche il 70% delle quantità degli ingredienti), lievito di birra, sale e olio d’oliva q.b. La lievitazione della pizza avviene per circa sei ore, formati poi i panetti si stendono, condiscono e cuociono in forno ad alte temperature, circa 250°. Il risultato è una pizza di un certo spessore ai bordi, i famosi “cornicioni” che alcuni riescono anche a farcire con ricotta e altre squisitezze, e più fina al centro. Il condimento per eccellenza della pizza napoletana è la mozzarella e la passata di pomodoro, ma le varianti possono essere tantissime: dai pomodori pachino alla mozzarella di bufala, a tutto ciò che il gusto e la fantasia possono suggerire.

La pizza romana

È notoriamente più fina e croccante rispetto a quella napoletana, spesso si gusta bianca con rosmarino e sale grosso, o viene aperta e farcita con fragranti fette di mortadella. La lavorazione e gli ingredienti sono simili a quelli della pizza napoletana ma si usa una quantità minore di acqua, farina 0 oltre a sale e olio. La lievitazione è in ambiente caldo e dura circa 2 ore, poi si rilavora l’impasto e lo si fa riposare altri 20 minuti prima di stendere, condire e cuocere.

La pinsa romana

Contrariamente a quanto pensano molti, la pinsa non è un ritrovato gastronomico recente: ha origini antiche, ne parla già Virgilio nell’Eneide. Era una sorta di focaccia o schiacciata utilizzata tra i contadini come piatto di portata di cibi e condimenti, che imbevuta di sughetto diventava un morbido e gusto accompagnamento delle varie pietanze. Col tempo la ricetta si è modificata e oggi si differenzia con la pizza, romana o napoletana che sia, in diversi modi. Innanzitutto la forma: la pinsa è ovale e prende il nome dal modo in cui l’impasto viene steso, ovvero la pasta viene pizzicata fino a raggiungere la dimensione voluta. Altra fondamentale differenza con la pizza è la scelta delle farine, non 0 o 00, ma un mix di farina di frumento, di riso e di soia (nei tempi antichi si usavano farine di farro e altri cereali che la rendevano più croccante) questo permette di avere un impasto croccante fuori e morbido dentro, la scelta di queste farine facilita la lunga lievitazione e consente un minor utilizzo di grassi animali. Altre fondamentali differenze sono la durata della lievitazione che è minimo di 24 ore, il che rende l’impasto più leggero e digeribile; e la quantità d’acqua  che raggiunge anche l’80% della quantità degli ingredienti. Si inforna condita di sale e olio per poi farcirla con fantasia quando è ancora calda.

Al di là delle diverse lavorazioni, sappiamo di essere davanti a piatti dalla lunga storia e tradizione, composti di ingredienti sani ed eccellenze della nostra terra. Squisitezze da assaggiare e riassaggiare per capire quale sia la nostra preferita.  

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