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Lunedì, 29 Aprile 2024
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Finalista all’Extra Cuoca: Maria Nasso la chef pontina per cui il cibo è gusto, bellezza e cultura

Un piatto come racconto del territorio, come atto d’amore per la sua terra, tutto da “mangiare con gli occhi”: questa la cucina di Maria Nasso

Maria Nasso è tra le finaliste della terza edizione del concorso Extra Cuoca, che promuove l’utilizzo dell’olio extra vergine di oliva in cucina e il talento delle cuoche italiane.

Diventata cuoca professionale dopo una scelta consapevole è attivissima sul territorio, non solo è lo chef del ristorante L’Oca che si trova a Doganella di Ninfa, Cisterna, ma è nel consiglio provinciale della FederCuochi, fa parte di Slow Food, è a capo della sezione di Latina delle Lady Chef, e docente presso la Fondazione Bio Campus che si occupa di formazione superiore post diploma nell’Area delle Nuove Tecnologie per il Made in Italy applicate al Settore Agroalimentare.

Una grande passione per la cucina che la porta a formarsi e ad approfondire l'argomento costantemente, a valorizzare le eccellenze locali e in particolare i piccoli produttori pontini.

Il piatto che le ha fatto guadagnare la finale all’Extra Cuoca è un dolce, molto particolare tutto a base di prodotti pontini, perché per Maria Nasso la cucina non è solo ricette da realizzare e piatti da mangiare, ma è racconto del territorio e cultura.


Sei per la seconda volta finalista al Concorso Extra Cuoca, l’anno scorso sei arrivata seconda nella sezione secondi piatti e quest’anno gareggi con un dolce. Che tipo di esperienza è per te? L’olio evo è l’elemento principale del concorso, che uso ne fai in cucina?

M.N.: Sì, Extra Cuoca premia le prime otto classificate, ovvero le prime due per ogni categoria. Le partecipanti hanno la possibilità di presentare alla selezione fino a quattro ricette, una per categoria, dopo di che la commissione decide la ricetta migliore da portare in finale. Quest’anno mi sono classificata tra le 28 finaliste su oltre le 200 iscritte. Quella dello scorso anno è stata la prima esperienza di persona, anche se era la seconda edizione. La prima edizione è stata durante il lockdown, si è svolta a distanza quindi si è trattato solo della presentazione della ricetta, della descrizione dettagliata e foto del piatto. La seconda edizione, quella dello scorso anno, si è svolta come quest’anno, con la selezione a distanza, e poi la prova pratica. Questa soluzione non è affatto sbagliata perché questo implica lo sviluppo di una serie di capacità oltre al cucinare. Intanto bisogna saper definire una ricetta, quindi grammature, passaggi in modo corretto, affinché chiunque sia capace di capire la ricetta e replicarla. Poi bisogna saper descrivere, dare valore a quello che fai, quindi presentare cosa si porta. Bisogna saper raccontare l’olio scelto e il modo in cui si intende valorizzarlo, come viene usato nella ricetta e soprattutto raccontare il territorio. Si deve suscitare la curiosità di assaggiare il piatto in finale. Poi in finale ce la giochiamo sulla tecnica e sulla pratica.
Per quanto riguarda la mia ricetta, noi partecipanti dobbiamo scegliere un olio proveniente dalla regione in cui viviamo o lavoriamo, io ho scelto entrambi gli anni un olio pontino, perché ci tengo molto a parlare della mia terra. L’anno scorso ho utilizzato il Verdemare di Cosmo Di Russo, un olio eccezionale. Quest’anno ho scelto l’olio di oliva itrana, anche se è difficile immaginarlo in un dolce, facendo la bellissima scoperta dell’olio del Mulino Settecento di Cori. L’olio evo in cucina se ne usa poco e in modo opportuno, sia perché è un grasso e sia per il suo valore. Ma è un olio che protegge tutto quel che noi facciamo. Anche nelle cotture, l’olio extravergine di oliva ci consente di salvare i valori nutritivi degli ingredienti che utilizziamo. Nel piatto della gara in particolare, l’ho usato in ogni elemento della preparazione, sia in cottura che a crudo. L’olio a crudo ci va sempre perché poi alla fine sprigiona tutto il suo sapore, però anche nella cottura, rispettandone le giuste temperature riesce davvero a fare la differenza nel piatto.

Come è nata la passione per la cucina? Quando hai capito che sarebbe potuta diventare la tua strada?

M.N.: la passione per la cucina è nata da piccola, a casa, come per la maggior parte delle persone. Eravamo quattro fratelli e mia mamma ci metteva a giocare in cucina, facevamo insieme le polpette. Ma ricordo anche che sin da piccolina stendevo la pasta e mi piaceva molto. Crescendo ho continuato a cucinare, è sempre stata una passione. In realtà è diventata una professione a seguito di un cambiamento di vita. Il mio percorso è stato diverso, sono una ragioniera, poi ho studiato economia e commercio e ho ripreso il diploma di enogastronomia da grande. La cucina era sempre una passione, nella parrocchia vicino casa ero una delle mamme che faceva i corsi di cucina ai bambini e proprio da lì è partita questa cosa perché in una pagina social dove guardavo dei giochini per bambini da fare con il cibo lessi un post su un corso per diventare professionisti nel mondo del visual food. E così sono diventata una visualfoodist e da lì ho cominciato. Ma ero già grande avevo intorno ai 40 anni quindi è relativamente da poco che cucino in modo professionale, però è stata una crescita consapevole e veloce.

Dalla tua pagina Facebook si comprende che per te la formazione è una costante del tuo lavoro. Cosa vorresti ancora imparare o approfondire?

M.N:  si è una costante e non si deve mai smettere. Intanto perché la cucina è sempre in evoluzione, poi si possono praticare o non praticare alcune tecniche, per una scelta di valori personali, ma è importante conoscerle. Ci sono alcune tecniche che io personalmente non condivido perché sono poco adatte al momento per quanto riguarda l’ambiente, se si vuole praticare una cucina sostenibile bisogna fare alcune scelte, magari poco felici dal punto di vista della promozione, però è meglio fare un passo indietro e porre più attenzione verso l’ambiente. Parlo per esempio del sifone, che consente sicuramente di fare cose particolari però è una tecnica che richiede l’utilizzo di bombolette che per ora non possono essere ricaricate, quindi non possono essere riciclate, per me per ora è una tecnica da non utilizzare. Oppure parlo anche della splendida cottura sottovuoto, che richiede un dispendio di grande quantità di plastica che non sempre viene correttamente riciclata. La cucina oggi è anche attenzione per l’ambiente, perché la ristorazione è tra i settori che producono la maggior parte di scarichi e rifiuti.  Dal punto di vista della formazione, non si smette mai di imparare, poi si sceglie cosa fare e cosa no. Non smetto mai di prendere libri, al momento mi vorrei perfezionare nella cucina molecolare, sempre seguendo il concetto di conoscere e non necessariamente applicare.  


Sei anche visualfoodist, non tutti sanno cosa significa, che cos’è? E quanta importanza ha per te la bellezza del piatto che presenti?

M.N.: la bellezza è fondamentale. Per fortuna noi non mangiamo solo per la necessità di nutrirsi e quindi la bellezza comincia a diventare una parte dell’appagamento. Come si dice “si mangia con gli occhi”. È verificato che vedere un piatto bello ti predispone positivamente alla digestione. Il visualfoodist è una manipolazione corretta del cibo, perché siamo comunque nell’ambito della cucina, si devono comunque rispettare le regole dell’HCCP e le norme di cucina. Il risultato finale però da piacere anche alla vista. Sono tecniche tutto sommato non difficili e alla portata di tutti. Poi c’è la parte degli impiattamenti e le lezioni sulla tecnica di costruzione e progettazione del piatto si rivolgono a persone che sono all’interno delle attività di ristorazione, è un ambito diverso.

Quanto contano le materie prime nella tua cucina? Come scegli i prodotti? Come li abbini?  Come definiresti la tua cucina?

M.N.: la mia cucina è di vario tipo: passo da una modalità semplice a quella un po’ più elaborata, senza mai arrivare a cucine esasperate, perché secondo me la cucina non va snaturata. Per i miei prodotti cerco sempre di restare intorno a casa: le verdure per esempio me le portano in cassetta da un'azienda bio di Latina o tratto comunque eccellenze italiane. I prodotti non lì abbino necessariamente territorialmente ma per affinità del gusto. Per esempio il piatto presentato quest’anno all’Extra Cuoca si chiama “Come le api ai fiori” ed è un piatto che mette insieme in varie modalità l’itrana, sia l’olio che l’oliva in salamoia, il miele, utilizzerò tre tipi di miele: eucalipto del nostro territorio, il miele di arancia che sta bene con il vanilcapra, il formaggio erborinato di capra con vaniglia, arancia e fiori eduli, che utilizzo nella ricetta, e poi il miele di castagno. Utilizzo poi il polline fresco e la birra al miele di millefiori. Il piatto si è costruito strada facendo. Sono partita con l’idea di utilizzare un formaggio locale, ho scelto tra i formaggi di Elio Testa questo vanilcapra e ho pensato di farne un dolce. È stato complicato utilizzare l’olio di itrana perché ha molto carattere quindi ho scelto quello del Mulino Settecento che è un olio più delicato. Rimanendo nel territorio, ho utilizzato anche la farina di carrube. Una volta negli uliveti si piantavano anche dei carrubi per dare da mangiare agli asini che aiutavano a trasportare le olive durante la bacchiatura. Lucia Iannotta ha recuperato questi antichi carrubi e ha realizzato un prodotto per noi, una farina buonissima che sa di cioccolato. È un piatto articolato ma del tutto pontino che ha un duplice messaggio, un racconto al femminile che pone l’attenzione sul mondo delle api in un momento che la loro salvaguardia è fondamentale.

 Fai parte anche dell’Associazione Cuoche a Domicilio, che non vuol dire solo cucinare a casa del proprio cliente, ma essere vere e proprie ambasciatrici enogastronomiche, conoscitrici delle ricette della tradizione. Come si lega il tuo modo di cucinare alla tradizione?

M.N.: subito dopo essere diventata visualfoodits mi sono legata all’Associazione Cuoche a Domicilio principalmente perché trovo che sia un tipo di lavoro meraviglioso: la cucina della ristorazione è molto bella, però la cucina a domicilio ti consente di costruire insieme al tuo cliente il suo menù e di costruire ogni volta ricette diverse. È un lavoro differente, adatto alle donne perché ti consente di gestire i tempi del lavoro e delle altre attività che fanno parte della tua vita. Infatti molte personal chef sono donne. È un modo di prendersi cura della famiglia dove si va a cucinare, apri la tua cucina nella loro cucina e prepari, servi e racconti il piatto avendo un rapporto diretto con chi mangia, che sa cosa e come l’hai preparato, che prodotti hai utilizzato. E poi alla fine sistemi, rassetti, un po’ alla Mary Poppins, e non lasci traccia. Quella è stata la prima tappa del mio lavoro, e quando posso continuo a fare questo tipo di attività perché mi dà sempre tanto dal punto di vista umano.
Tra l’altro penso che si sta un po’ tornando al passato, nel senso che le persone hanno il piacere di mangiare le cose buone, le cose di una volta, anche rivisitate o più belle a vedersi. Un po’ come il Pollo alla Lucrezia Borgia che ho portato lo scorso anno all’Extra Cuoca, è un piatto della tradizione sermonetana, non molto bello a vedersi ma davvero buono. Ho riportato in una forma nuova quei sapori, rendendoli anche belli da vedere e legando a essi il racconto di questa farfalla, che simboleggiava Lucrezia Borgia, che da Sermoneta volava fino a Ninfa raccontando attraverso i sapori la pianura pontina. L’ho scelto per l’Extra Cuoca perché mi piaceva l’idea di portare a un concorso femminile il racconto di una donna distrutta dalla storia, ma in fondo vittima dell’epoca che ha vissuto.

Per te la solidarietà è sempre stata importante, fai parte del gruppo delle Lady Chef che uniscono la ristorazione di qualità, il duro lavoro femminile e la beneficienza. Collabori anche con il Dipartimento Solidarietà Emergenze FIC (Federazione Italiana Cuochi) del Lazio, quali attività svolgete?

M.N.: il dipartimento delle Lady Chef è nato all’interno della FIC proprio per dare valore alle donne che nella ristorazione purtroppo faticano ancora a entrare. Ad oggi per esempio Extra Cuoca è un concorso riservato alle cuoche, molte di loro l’anno scorso non facevano parte della FIC ma dopo aver visto questo gruppo coeso che unisce cuoche da tutta Italia sono entrate nelle Lady Chef è un circolo virtuoso che si va allargando. Per quanto riguarda il Dipartimento Solidarietà Emergenze, è formato da uomini e donne, e ci occupiamo di ristorazione durante le emergenze, io lo faccio anche per la Croce Rossa. Proprio pochi giorni fa siamo stati a Frosinone al 72° stormo dell’aeronautica militare dove c’è stata una maxi esercitazione di forze armate e associazioni di volontariato, una esperienza bellissima perché abbiamo cucinato per loro, ma noi stessi abbiamo fatto addestramento sull’emergenza sulle cucine da campo, che è un altro tipo di cucina ancora. Mi è capitato di cucinare durante l’emergenza del terremoto di Amatrice, cucinare per le persone che vivono l’emergenza è dare un conforto, cucinare per i volontari che tornano da momenti davvero drammatici è dare il supporto del cibo e dell’ascolto, è un compito davvero importante. Sono esperienze che durano anche del tempo per cui impari a conoscere i volontari, ma anche gli abitanti, sai quando compiono gli anni e prepari la torta di compleanno per tirare su il loro morale, diventi parte della loro comunità. Tanta parte della formazione infatti è dedicata a questo tipo di rapporto, non è solo la tecnica di cucina in emergenza, che comunque deve essere pronta a risolvere qualsiasi situazione: prepari un menù ma non arrivano i prodotti che ti aspettavi, in alcuni casi devi cucinare senza corrente elettrica, con acqua che scarseggia, bisogna quindi imparare ad affrontare le varie situazioni.

Dopo aver studiato tanto, sei diventata anche insegnante. In un’epoca in cui si vedono tante ricette in tv e sul web ma si conosce poco il duro lavoro nel mondo della ristorazione, cosa consiglieresti a chi vuole intraprendere questa carriera in modo serio e professionale?

M.N.: adesso come adesso si vede un po’ una inversione di tendenza, nel senso che le persone adulte tendono a far diventare professione una passione. E quindi, un po’ come è successo a me che ho preso il diploma di enogastronomia quasi a 50 anni, studiano da adulti. Spesso molti grandi chef non hanno il diploma di enogastronomia ma le lauree più disparate, sono avvocati, ingegneri, commercialisti che poi sono diventati chef stellati. Alla fine è la passione che fa venire la voglia di approfondire. Il consiglio è prima agli insegnanti: cercare di far venire la voglia e la curiosità di imparare, di far fare, di mettere le mani in pasta. Purtroppo nelle scuole il tempo da dedicare ai laboratori non è molto, nelle case molti di questi ragazzi dicono di non potersi avvicinare ai fornelli perché le mamme sono gelose e devono aspettare di entrare nel ristorante per poter fare. Quando approcci il lavoro al ristorante capisci che non è Masterchef. Per quanto riguarda i ragazzi oggi, purtroppo ci sono meno iscrizioni, sempre meno portano a termine gli studi e ancora meno arrivano alla professione. Un’altra cosa grave che capita è che molti insegnanti indirizzano all’alberghiero i ragazzi che secondo loro hanno meno possibilità di far carriera, in realtà con la passione e il giusto impegno ci sono altissime probabilità di avere una buona carriera. È una grande selezione che da un lato porta alla qualità, ma c’è realmente la difficoltà nel mondo della ristorazione a trovare personale qualificato. La televisione sicuramente ha portato maggiore attenzione su questo tipo di lavoro, ma la realtà è molto diversa da quello che si vede sui tanti canali tematici. Nelle cucine si muore di caldo, fai orari assurdi, quando esci non riesci a camminare per i dolori alle gambe, ma poi, grazie alla passione, il giorno dopo passata tutto e siamo freschi e pimpanti pronti a ricominciare. E poi si studia di continuo, perché ormai c’è anche il cliente che ne sa più di te.

Tra un corso seguito e uno tenuto come docente, tra un nuovo libro tutto da consultare e tanti piccoli produttori locali da scoprire e valorizzare attraverso i suoi piatti, Maria Nasso attende la finale che la vedrà ai fornelli il 21 novembre presso l’Università dei Sapori di Perugia quando avrà soltanto 50 minuti per replicare il piatto iscritto alla competizione.

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