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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca

"Di Silvio, un’associazione di tipo mafioso che sfrutta la fama criminale della famiglia"

Processo "Alba Pontina": la Corte d'appello nelle motivazioni della sentenza spiega i 53 anni di carcere inflitti al clan di Campo Boario

“Può sostenersi che il clan Di Silvio costituisce un’associazione di tipo mafioso che sfrutta la fama criminale della famiglia affermatasi nel tempo per compiere attività illecite. L’associazione possiede una struttura stanziale sul territorio pontino che si dirama anche oltre la sede operativa di Campo Boario e si avvale non soltanto di membri della famiglia ma anche di innesti dall’esterno”.

Così la terza sezione penale della Corte di appello di Roma racconta nelle 463 pagine le motivazioni dei quasi 53 anni complessivi di carcere inflitti ai componenti del clan con la sentenza del 2 ottobre scorso nel processo "Alba Pontina". Nella motivazione si sottolinea come l’ipotesi accusatoria di associazione mafiosa sostenuta dai magistrati della Direzione distrettuale antimafia abbia trovato piena applicazione alla luce di alcune caratteristiche specifiche: utilizzo della fama criminale; pianificazione delle attività; ripartizione degli utili tra i sodali; controllo del territorio; gerarchia all’interno del gruppo e omertà che sono gli indici dell’esistenza dell’associazione mafiosa. Secondo i magistrati “la capacità di intimidazione dell’organizzazione facente capo alla famiglia Di Silvio è emersa da tutte quelle azioni estorsive che hanno colpito soggetti o inseriti in circuiti criminali o che si sono rivolti a persone aventi questa connotazione per cercare di opporsi a quelle condotte”. In questo contesto risulta “indicativa anche la circostanza che gli estorti generalmente non hanno denunciato queste condotte criminali oppure lo hanno fatto quando ormai la pressione era insopportabile e le richieste insostenibili”. Aggiungono i giudici che “l’attività illecita viene minuziosamente e costantemente pianificata con ripartizione dei compiti tra i sodali e stabilendo le modalità con cui rendere più incisiva l’azione, posta in essere con consapevole uso del metodo mafioso al fine di ottenere un migliore esito dell’attività estorsiva. E l’associazione dispone di armi che è pronta ad utilizzare qualora qualcuno si opponga alla propria azione”.

La sentenza della Corte di appello ha condannato Armando Lallà Di Silvio, considerato a tutti gli effetti il leader del clan, a 20 anni di carcere; la moglie Sabina De Rosa a 13 anni e quattro mesi; Francesca De Rosa a 2 anni e nove mesi; Genoveffa Di Silvio a 4 anni; Angela Di Silvio a 5 anni; Giulia Di Silvio un anno e nove mesi; Tiziano Cesari a 2 anni e cinque mesi; infine Federico Arcieri a 3 anni e quattro mesi.  

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