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Lunedì, 29 Aprile 2024
Cronaca

Evasione a Latina: “Carenza di personale e scarsa tecnologia. Cosa non funziona nelle carceri”

La conferenza di Aldo Di Giacomo (Spp) dopo la fuga del detenuto dalla casa circondariale di via Aspromonte: “Quanto è successo è di una gravità inaudita. La responsabilità non può essere solo della polizia penitenziaria”

Il tempo, la carenza di personale e la scarsa possibilità di avere strumenti tecnologici a disposizione: è stato l’insieme di queste condizioni ad aver contributo, probabilmente, alla facilità con cui è riuscito a scappare il detenuto che nel pomeriggio di domenica 11 giugno è evaso dal carcere di Latina. 

A fare il punto nel corso di una conferenza, proprio davanti alla casa circondariale di via Aspromonte, è stato Aldo Di Giacomo, segretario generale del Spp - Sindacato Polizia Penitenziaria - mentre sono ancora in corso le indagini sull’evasione, per chiarire come tutto sia potuto accadere e per rintracciare il fuggitivo, il 22enne di origini egiziane Dahy Ehab Mahrous Abouelela che era detenuto nel carcere di Latina e di cui ora si sono perse le tracce.

Quanto successo fa ritornare alla mente la storica evasione dalla casa circondariale di via Aspromonte del 1971; terribile episodio che costò la vita al piccolo Giuseppe Giuliano di 11 anni ucciso per mano di un poliziotto della penitenziaria che stava cercando di catturare l’evaso, e che tutti tristemente ricordiamo. “Da allora non è cambiato nulla nel carcere di Latina, neanche dal punto di vista strutturale - dichiara Di Giacomo -. La facilità con cui allora riuscì a scappare quel detenuto è la stessa che ha avuto il 22enne. Durante l’ora d’aria - secondo una prima ricostruzione - il ragazzo è riuscito a scappare scavalcando il muro, facendo tutto da solo e senza avere l’aiuto di nessuno. Ci sono le immagini delle telecamere di videosroveglianza che lo riprendono mentre scappa”. 

“Non ha avuto grande difficoltà - aggiunge il sindacalista -. C’è una cosa che i detenuti che vogliono evadere hanno dalla loro parte: il tempo, perché una fuga rocambolesca come questa è per forza stata organizzata prima, studiata nei minimi dettagli. Mi spiego: il detenuto che vuole evadere osserva e studia tutto all’interno del carcere, cercando di trovare i punti deboli come ad esempio il giorno in cui un punto del muro di cinta è scoperto. Questo significa che il 22enne ha avuto tutto il tempo per agire e questo è anche determinato dal fatto che c’è una marcata carenza organica. E soprattutto gli istituti penitenziari dovrebbero avere tanti sistemi di sicurezza che le evasioni dovrebbero diventare impossibili, primo fra tutti il sistema di antiscavalcamento che fa scattare l’allarme quando chi vuole scappare arriva sul muro di cinta; le stesse telecamere servono per capire dopo come è avvenuta l’evasione, mentre c’è bisogno di una sala regia con qualcuno che guarda quanto in tempo reale sta accadendo permettendo di intervenire subito. Ma questo non succede e chi ci rimette è sempre chi lavora nel carcere, perché la politica e l’amministrazione penitenziaria sono sempre lontani da avere responsabilità. E questo non è giusto”.

In riferimento proprio alla carenza di personale, spiega ancora Di Giacomo, “al momento dell’evasione lavorava il 40% in meno delle unità previste che secondo noi sono già poche e insufficienti. Quanto successo è di una gravità inaudita” ha poi concluso il sindacalista, che mette in evidenza i limiti dei sistemi carceri attuali, e della casa circondariale di Latina, “dove a mancare non sono solo gli agenti della polizia penitenziaria, ma anche i mediatori culturali, gli educatori e gli psicologi”.  

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